Revenge Porn
Il revenge porn, consiste diffusione di immagini e video a contenuto sessualmente esplicito al fine di denigrare pubblicamente, ricattare, bullizzare o molestare la persona ritratta.
Si parla di revenge (vendetta), perché tale pratica è spesso utilizzata nei confronti dell’ex coniuge o do altra persona comunque in precedenza sentimentalmente legata all’agente, ma sempre più spesso è usata, soprattutto da minori, anche con finalità meramente denigratorie e per pratiche di cyberbullismo.
Il revenge porn può avere gravi ripercussioni sul profilo psicologico per la vittima, con conseguenze drammatiche sulla sua vita sociale e anche materiale sulla vita delle persone che ne sono vittime.
Il revenge porn integra la fattispecie penale di cui all’art. 612-ter c.p., laddove sono distinte due diverse ipotesi:
- il comma 1 punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, che sono stati raccolti o sottratti presso la vittima senza il suo consenso e che inizialmente erano stati realizzati per rimanere privati.
- il comma 2 punisce con la stessa pena chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito acquisiti senza il consenso della vittima, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde sempre senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
Si noti, quindi, che il fine di arrecare il nocumento alle persone rappresentate è elemento costitutivo della fattispecie, per cui la semplice visualizzazione dell’immagine o del video in chat o altri gruppi social non integra di per sé la fattispecie di reato.
L’art. 612-ter c.p. prevede tre circostanze aggravanti specifiche che comportano un aumento della pena nei seguenti casi:
- i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa,
- i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici,
- i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Il legislatore delitto è punito a querela della persona offesa. Questo potrebbe rappresentare un limite all’applicazione della norma, perché la vittima potrebbe provare vergogna e perciò rinunciare ad andare a denunciare un fatto che le comporta sofferenza. Tuttavia, le fattispecie aggravate sono perseguibili d’ufficio, così come si procede d’ufficio quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Inoltre, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi, a differenza dei tre mesi di cui all’art. 336 c.p. e la remissione della querela può essere soltanto processuale.